Nella parte occidentale del deserto di Al-Nafud, a 220 chilometri dalla città di Tabuk, si trova l’antica oasi di Taima. In questo luogo arido, tra sabbia e rocce, un mistero attira l’attenzione dei turisti: Al Naslaa, un’enorme formazione di arenaria che sembra essere stata tagliata a metà da una spada laser.
Il mistero dell’enorme roccia di Al Naslaa nel deserto di Al Nafud
Il deserto di Al Nafoud, situato nel nord della penisola arabica, si estende come un immenso mare sabbioso per 290 chilometri di lunghezza e 225 chilometri di larghezza. La sua vastità è punteggiata da arbusti e alberi rachitici che lottano per sopravvivere in questo ambiente arido. Tuttavia, la vera protagonista del paesaggio è la sabbia, che assume un colore rosso scuro e si innalza in imponenti dune a forma di mezzaluna. Questa caratteristica forma è il risultato dell’incessante lavoro dei venti, che modellano la sabbia trasportandola da un lato all’altro.
Al Nafoud rappresenta uno degli ambienti più aridi del pianeta. Le precipitazioni sono rare, avvenendo solo una o due volte all’anno. Tuttavia, questo non significa che il deserto sia privo di contrasti. Al contrario, qui si possono scatenare potenti tempeste di sabbia che trasformano il paesaggio in un vortice di polvere e oscurità.
Nonostante l’asprezza del clima, il deserto di Al Nafoud conserva un fascino unico e selvaggio. La sua vastità incontaminata, le dune maestose e i contrasti di luce e colore creano un panorama spettacolare che lascia senza fiato. Per gli amanti dell’avventura e della natura incontaminata, questo luogo rappresenta una destinazione imperdibile dove immergersi nel silenzio del deserto e riscoprire la forza della natura.
Tra le vaste distese sabbiose dell’Arabia Saudita si estendono ampie aree di campi lavici, testimonianze silenziose di un passato vulcanico impetuoso. Questi affascinanti paesaggi, noti come “harrats”, raccontano storie di eruzioni avvenute migliaia di anni fa, plasmando la geografia e la cultura della regione.
Tra i più vasti harrats si distingue l’Harrar al-Uvayrid, un territorio che si snoda a nord-ovest del Taima, custode di tesori geologici e archeologici di inestimabile valore. È stato proprio l’esploratore e scrittore Charles Montague Doughty, nel XIX secolo, a descrivere per la prima volta questo luogo suggestivo nella sua celebre opera “Viaggi nel deserto arabo”.
Antiche incisioni sulla roccia di Al Naslaa
Le rocce vulcaniche dell’Harrar al-Uvayrid sono come pagine di un libro antico, scolpite nel tempo da forze primordiali. La loro superficie, ricoperta da una miriade di petroglifi, narra storie di popoli che hanno abitato questa regione fin dall’era neolitica. Figure umane, animali selvatici e simboli misteriosi si intrecciano su queste rocce silenziose, offrendo uno sguardo affascinante su credenze, rituali e stili di vita di epoche passate.
Dalle incisioni più antiche, risalenti a migliaia di anni fa, fino a quelle più recenti, l’Harrar al-Uvayrid rappresenta un vero e proprio museo a cielo aperto, un luogo dove la natura e la storia si incontrano in un connubio unico. Ogni petroglifo rappresenta un tassello prezioso di un mosaico culturale che ci permette di ricostruire la vita e le tradizioni delle popolazioni che hanno abitato questa terra arida ma ricca di fascino.
L’Harrar al-Uvayrid, con la sua bellezza austera e i suoi tesori nascosti, invita i viaggiatori a intraprendere un’avventura nel tempo per scoprire i segreti di un passato lontano immergendosi nella magia di un deserto che ancora oggi conserva il suo mistero.
Le immagini più vecchie appaiono più scure e patinate, mentre le immagini più giovani sono più chiare e distinte. Gli antichi artisti amavano raffigurare pastori con greggi di pecore e capre, cacciatori con archi circondati da cani, animali come stambecchi, bisonti, onagri, gazzelle. Hanno dipinto persone senza tratti del viso, ma copricapi e vestiti dettagliati. Nei disegni più antichi non ci sono cavalli o cammelli e, ovviamente, nessuna iscrizione.
Ma dal 3 ° millennio a.C. compaiono sia cavalli che cammelli. Inoltre, i carri da guerra corrono lungo le rocce, i carri viaggiano e i cavalli si distinguono per la loro costituzione aggraziata e assomigliano alla famosa razza di stalloni arabi. I dromedari seguono i cavalli. E a partire dal VII secolo a.C. circa, le immagini vengono fornite con antiche lettere arabe. Ci sono molti di questi petroglifi intorno all’oasi di Taima.
La roccia di Al Naslaa
Sulla scogliera di Al Naslaa, i turisti si accalcano per farsi fotografare, incuranti del cavallo, dell’uomo e dell’iscrizione indecifrabile scolpiti sulla pietra. L’unica vera attrazione è il taglio perfettamente dritto e sottile che divide la roccia in due metà.
Una domanda sorge spontanea: chi ha potuto tagliare questa pietra con tale precisione? Come è stato fatto? E perché? Perché i massi poggiano su supporti a forma di coppa senza cadere?
Tra le ipotesi più fantasiose compaiono: dei, alieni, tecnologie ancestrali dimenticate, c’è chi immagina la roccia come parte di un edificio mai completato, o come un monumento celebrativo. C’è persino chi ipotizza l’utilizzo di seghe di rame e pomice per levigare il taglio. Un’idea improbabile, data la difficoltà di lavorare in uno spazio così stretto e la scarsa efficacia di tali strumenti su arenaria.
Ma la spiegazione più plausibile, secondo i geologi, è ben diversa e non coinvolge affatto l’intervento umano. Il taglio perfetto sarebbe il risultato di un processo naturale: il differenziale termico tra il giorno, insopportabilmente caldo, e la notte gelida che ha provocato la dilatazione e contrazione della roccia, causando la formazione di crepe. Nel tempo, queste crepe si sono allargate fino a dividere la pietra in due.
Successivamente, l’azione erosiva di vento e acqua, favorita dal clima più piovoso di un tempo, ha levigato le superfici creando l’illusione di un taglio netto e preciso.
Quindi, la scienza sembra aver risolto il mistero della roccia di Al Naslaa. Ma il vero enigma rimane la figura scolpita e, soprattutto, l’iscrizione. Chi l’ha realizzata? A quale evento è legata? Solo la sua decifrazione potrà svelare il segreto che avvolge questo affascinante sito archeologico.
L’ipotesi che la roccia fosse oggetto di culto, data la venerazione delle pietre in Arabia, appare poco probabile vista la presenza di un petroglifo con un uomo e un cavallo e di un’iscrizione. Il significato di questi simboli rimane avvolto nel mistero, per ora.
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